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rivista semestrale

anno XXXVI - terza serie

numero 89

gennaio/giugno 2024

Edoardo Sanguineti, Ritratto del Novecento

[a cura di Niva Lorenzini, Manni, Lecce 2009]

L’ultimo libro di Edoardo Sanguineti è uno strano oggetto. Ritratto del Novecento presenta infatti i materiali dattiloscritti preparatori di una manifestazione bolognese di quattro giorni, realizzata nel 2005 da un’idea di Angelo Guglielmi, il cui obiettivo era appunto comporre un ritratto multimediale della cultura complessiva del secolo scorso. Ora che l’evento è trascorso rimangono questi appunti, riuniti in schede dedicate a scrittori pittori scienziati antropologi medici filosofi sociologi architetti e così via, disposte secondo il principio del montaggio.

Il Ritratto sanguinetiano tocca quattro tappe fondamentali dell’esperienza novecentesca: le avanguardie, la psicanalisi, i conflitti sociali, e appunto il montaggio. È proprio quest’ultimo a fornire lo scheletro metodologico del progetto, ma anche la sua ragione di fondo: i cento autori coinvolti (anzi centouno, con il tassello finale riservato a sé stesso dall’autore) figurano infatti non per i singoli e rispettivi capolavori prodotti, ma per le interferenze a cui danno vita, sottoposti alla casualità degli accostamenti, proiettati in un mosaico idealmente (ora, nella lettura) multisensoriale.

L’intenzione di Sanguineti è riassunta dal detto di Benjamin posto come sigillo dell’opera: «Io non ho niente da dire, ho soltanto da mostrare»: i materiali testuali (verbali, visivi, sonori) indicati valgono come “documenti”, come paragrafi dell’opera omnia – come ama dire Sanguineti – dell’umanità novecentesca, nell’anonimato di ciascuno. Il fascino del libro sta ora, nello stato postumo e altro rispetto all’evento bolognese, nella sua reticenza, nell’additare i riferimenti bibliografici, delle registrazioni, delle riproduzioni figurative, lasciando però al lettore l’onere e il piacere di andare a completare, se e dove vuole, la lacuna, i punti di sospensione tra i contorni delle disposizioni di regia sanguinetiane.

E magari nel cercare, rintracciando la biblioteca dell’autore, la particolare edizione o la particolare versione citate con accuratezza filologica delle numerose opere usate. Giacché proprio di “uso” si tratta: di costruzione di una costellazione attraverso frammenti i più disparati; di una esposizione tendenziosa di materiali altrui in attrito reciproco, nella consapevolezza che «a questo mondo non ci sono che citazioni » (p. 28), ovvero che non si dà libertà da elaborazioni precedenti, che siamo sempre elaborazioni di «strutture preesistenti» (p. 29), e che il gioco sta nel lavorare di montaggio, nel superare e nel mettere in crisi la “sintassi” intesa come «modello di costruzione razionale che è stabilita dalla classe dominante» (p. 27).

Un libro che sorprende per le continue deviazioni, lungo l’esperienza irrequieta del Novecento, dentro e fuori i permeabili confini dell’individuo sociale. Un progetto che soddisfa forse l’aspirazione del Sanguineti bambino a incollare immagini e oggetti su un quaderno che allora aveva profeticamente intitolato “TUTTO”.

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